Hydra «Unknown Gods» (2022)
Recensione
Voglio essere schietto: il secondo album degli Hydra, “Unknown gods”, è un disco anche carino, ma che suona anche parecchio datato e già sentito, dove per “datato” non s’intende old school contro new school, ma proprio rimasto a canovacci compositivi di alcune decadi fa, dove per chissà quale motivo la voglia di sperimentare col metal confluiva più che altro in un insieme di tempi lenti e senza mordente, per un risultato spesse volte amorfo e che pur non essendo qualcosa di detestabile, neanche riusciva ad appassionare.
È questo il caso degli Anconetani Hydra, una band formatasi sul finire degli anni 80, ma il cui ritorno sulle scene risale con un Ep a 11 anni fa, e solo al 2016 al primo full. Ora, non sappiamo cos’è successo in tutti quegli anni di stop, ma in questo “Unknown gods” gli anni di inattività e una mancanza di contatto con il metal durante gli anni si sentono eccome, visto che qui la ricetta compositiva consiste più o meno in quanto detto poc’anzi: una serie di canzoni costituite da riffs abbastanza semplici e quasi sempre in tempi medi senza molto mordente, timidi tecnicismi e assoli, un mixaggio strano che sacrifica le chitarre per mettere troppo in primo piano una voce equalizzata non molto bene, ritornelli non pervenuti o che non escono come dovrebbero, ed il risultato è servito. Ne consegue una serie di brani che in realtà non sono neanche male (Buoni alcuni riffs di “The call” e “The key”), ma la cui ricetta l’abbiamo sentita già altre volte da diverse bands underground di 10-20 anni fa tante volte, e che nel corso degli anni è stata obliterata sia da bands più dal sound moderno e innovativo che da altre più old school e che ricalcano meglio o ampliano maggiormente il discorso degli anni 80 e del metal di quegli anni. Poi certo, potremmo parlare del fatto che perlomeno qui c’è un po’ di varietà, come il positivo up tempo di “Down”, oppure la chitarra solista che potrebbe e dovrebbe dare molto di più, come nell’incerto assolo di “Surrender”, ma sono cose minori: il problema principale rimane quello esposto poc’anzi.
Questo è dunque il problema di “Unknown gods” degli Hydra. Non è mio intento disprezzare la band e neanche quello di pensare che non ci hanno messo l’anima, ma a livello di composizioni sembrano essere rimasti mentalmente un po’ come i rookies del thrash anni 90 – primi anni 2000, che volevano essere meno prevedibili di certo speed metal e più tecnici ma senza granché riuscirci, ed è per questo che “Unknown gods” suona stantio; in questi anni abbiamo visto bands old school suonare comunque molto tecniche eppur veloci, nonché bands più moderne e/o sperimentali, ma con molto più mordente. Gli Hydra, senza offesa, sono rimasti un po’ nel passato; capisco che la vita e altri fattori spesso ti forzano a disconnetterti dal mondo musicale e dal perderti evoluzioni musicali, e capisco anche che la voglia di rifare musica dopo tanti anni è forte e non tieni conto di se e come la musica è cambiata, ma secondo me “Unknown gods” ha il suo principale problema proprio in questo, il che lo rende un disco anche ok e di certo fatto da gente non da disprezzare, ma anche molto di nicchia e desueto. Aggiornarcisi e rinnovarcisi, queste sono le parole chiave.
Track by Track
- Blasphemous flutes 55
- Signs 55
- The call 60
- The key 60
- Surrender 55
- Polaris 55
- Down 60
- Polaris (Italian version) 55
Giudizio Confezione
- Qualità Audio: 55
- Qualità Artwork: 65
- Originalità: 55
- Tecnica: 65
Giudizio Finale
59Recensione di Snarl » pubblicata il 29.09.2023. Articolo letto 309 volte.
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