Slobber Pup «Black Aces» (2013)

Slobber Pup «Black Aces» | MetalWave.it Recensioni Autore:
Carnival Creation »

 

Recensione Pubblicata il:
11.05.2013

 

Visualizzazioni:
847

 

Band:
Slobber Pup
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Titolo:
Black Aces

 

Nazione:
U.s.a.

 

Formazione:
Jamie Saft :: Organ, Keyboards
Joe Morris :: Guitars
Trevor Dunn :: Bass
Balazs Pandi :: Drums

 

Genere:
Metal / Noise / Blues

 

Durata:
1h 4' 50"

 

Formato:
CD

 

Data di Uscita:
23.04.2013

 

Etichetta:
Rare Noise Records
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Distribuzione:
Goodfellas
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Agenzia di Promozione:
---

 

Recensione

Follia? Sparta? No, in questo caso solo tanta e “sana” follia. Premetto che “Black Aces” è un disco che probabilmente non tutti riuscirebbero a tollerare fisicamente fino alla fine e in tutta l’ora passata di minutaggio.
Di speciale possiede veramente molto: innanzi tutto i quattro pazzi che compongono il progetto “Slobber Pup” sono personalità alte della musica sperimentale nonché musicisti di alto livello. Ve li “presento”:
Jamie Saft. pianista nei Metallic Taste Of Blood e neiNew Zion Trio, vanta persino collaborazioni con i Masada di John Zorn nonché produzioni per Bad Brains e Beastie Boys. Joe Morris, chitarrista ormai considerato una colonna portante del free-jazz con collaborazioni tra le più disparate. Trevor Dunn che abbiamo visto a più riprese in veste di bassisita dei Fantomas, dei Mr. Bungle, dei Tomahawk e chiamato anche da John Zorn in più occasioni. Ultimo ma non ultimo il batterista Balazs Pandi presente anche nelle pubblicazioni degli Obake, ingegnoso e talentuoso interprete delle pelli.
Con quattro pazzi visionari così cosa vi aspettate di ascoltare? Pop? Metal? Musica elettronica? Niente di tutto ciò. I nostri hanno imbastito questa collaborazione completamente improvvisata in studio e che consta di 5 brani fuori dall’ordinario nel quali confluiscono elementi cuciti insieme in modo pressoché assurdo. C’è tanto free-jazz quanto blues, sprazzi grindcore, noise, “ambient”, piccoli e timidissimi accenni di melodia, dissonanze sparpagliate ovunque. Sembra di trovarsi dentro un incubo oppure in una realtà percepita in modo distorto e disturbante.
E disturbante è esattamente l’aggettivo che userei per definire “Black Aces” vista la dose di alienazione e squilibrio che svolazza senza sosta per più di un’ora senza mai smettere né concederci una piccola tregua. Non esistono stop o punti per riprendere fiato ma il tutto si struttura mediante una irragionevolezza sconsiderata che spezza tutte le regole musicali. Quattro menti che procedono all’unisono eppure distaccate l’una dall’altra per un ossimoro che tuttavia convince gli ascoltatori più abituati a sonorità forti e sperimentali, tutti gli altri credo si annoierebbero dopo 2 minuti e lascerebbero perdere il tutto.
Sopravvivere alla opener “Accuser” in effetti è roba per veri pro: 27 minuti di assurdo. Ci troviamo catapultati in una realtà che non ha nulla di contemplativo ma che invece risulta visionaria, violenta. La chitarra di Morris si inoltra in passaggi agghiaccianti che ricordano il blues ma che invece osano e osano sempre più, diciamo che è il pezzo più “guitar oriented” del lotto.
“Balalt” l’ho tradotta quasi come una ironia presa in giro: dopo un brano di mezzora, uno di due minuti e mezzo, seppur molto intensi. Le rimanenti tracce, compresa la bellissima title-track, vedono la prepotente apparizione di un hammond dai toni terrificanti, un organo ossessivo a tratti irragionevole e dittatore che si impone sugli altri e si dà battaglia con una batteria assassina e un basso di Dunn sempre e comunque presente in ogni secondo dei brani. Sono tracce in cui i quattro strumentisti collaborano in modo maturo concedendosi però attimi di pura malvagità sonora, la chitarra è leggermente in secondo piano mentre l’hammond devasta l’ascoltatore con una maturità e un estro di fondo che a momenti ci sembra suonato praticamente a caso. Ovviamente gli ascoltatori attenti (in particolar modo i musicisti) sanno bene che non è così.
In conclusione: è certamente un album fondamentale per tutti gli amanti delle sonorità estreme perché come sappiamo, il jazz sa essere più violento di qualsiasi sottogenere dell’Heavy Metal o del Punk ma quando le due cose si incontrano accade l’inferno puro. C’è Blues, c’è Grind, c’è free e quindi completa libertà di espressione.
Attenzione che fa davvero male al cervello!

Track by Track
  1. Accuser 85
  2. Balalt 85
  3. Black Aces 95
  4. Suffrage 80
  5. Taint Of Satan 85
Giudizio Confezione
  • Qualità Audio: 80
  • Qualità Artwork: 60
  • Originalità: 80
  • Tecnica: 90
Giudizio Finale
80

 

Recensione di Carnival Creation » pubblicata il 11.05.2013. Articolo letto 847 volte.

 

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