Wheels Of Fire «All In» (2025)
Recensione
Devo ammettere che ultimamente il suolo italico sta sfornando ottimi prodotti in ambito Hard Rock, mi è già capitato, infatti, di recensire alcuni interessanti lavori su questo genere e ho già sbirciato altre release in attesa in redazione, che promettono bene. Circa il disco in questione se mi dicessero che si tratta di una produzione a stelle strisce di una qualche band degli anni 80 di casa Geffen o Atlantic Records, me lo crederei senza alcuna minima ombra di dubbio.
La tendenza che ho riscontrato in questo uscita come in altre che mi sono passate tra le mani è una certa cura del dettaglio per attenersi il più possibile alle sonorità degli anni d’oro del genere: via dunque tutte quelle soluzioni adottate in quell’ ondata revival dell hard rock patinato che si ebbe nei primi 2000 dove si cercava di rinfrescare e modernizzare il sound; Potrebbe sembrare un operazione nostalgica (e sicuramente in parte lo è, visto anche che i componenti di tutte le band che ho recensito non sono di primo pelo) ma si nota chiaramente la voglia di tornare a qualcosa di genuino che realmente funzionava molto bene, senza la pressione di dover sempre modernizzare per rendere il prodotto al passo con i tempi. Produzione, suoni, armonia, linee melodiche, struttura delle canzoni dunque, virano in maniera uniforme verso la ricreazione di quel sound che tanto abbiamo amato e non fa eccezione questo “All In” dei veterani Whells of Fire che hanno già all’attivo una notevole discografia, essendo questa la loro quarta release discografica.
Si parte subito in quarta con un riff tagliente nella up tempo “Fool’s of Paradise“ tirata e melodica con un ritornello super catchy che sembra pensato apposta per sfrecciare con una Cadillac per le strade della costa Los Angelina con il volume dello stereo a manetta.
La seconda traccia “Under Your Spell” si apre con un riff Funk Metal di Bettencourtiana memoria. Un brano con un ottimo swing e un ritornello da stadio che ti entra dentro. Melodicamente Si sentono le influenze di band com Giant, Pink Cream 69, Casanova, Gotthard oltre che dei Bon Jovi di cui il cantante Davide Barbieri a volte ne ricorda la timbrica.
“End of Time” è una semi ballad in mid tempo che invece ricorda molto certe sonorità care ai Dokken, più scura nella strofa ma che apre sul ritornello con cori e tappeto di tastiere.
Segue la “vera” ballad “Resonate” molto più dolce con un bel arrangiamento di piano e un ottimo assolo di Stefano Zeni. Una traccia che sembra uscita dalle mani di Sambora & company.
Un’ introduzione gotica di tastiere ci proietta dentro “99 Lies” forse il pezzo leggermente più moderno del disco come concezione e con alcuni inserti elettronici e di effettistica, ma che comunquea si mantiene saldo alla sua radice “Bon Joviana”, in questo caso dell’era Crush di fine anni ’90.
Si torna in grande stile al decennio precedente con “Neverland” dove un riff alla “Ride The Wind” guida la band dentro un ottimo brano che mi riporta alla mente i poco conosciuti (purtroppo) Casanova.
”EmpTV” è un altro esempio di classe nel songwriting; grandi band come Winger, Giant, Mr.Big vengono alla mente. Si torna a swingare nel riff e la band, che tecnicamente qui mostra i muscoli, si diverte e si sente. Un brano con tocchi AOR che parla della vuotezza che troviamo in TV. Grande traccia.
Viriamo leggermente verso un street/sleazy rock sullo stile di band come Skid Row nella successiva “9.29” dove risalta la sezione ritmica potente e precisa costituita da Fabrizio Uccellini dietro le pelli e da Simone Dredi alle 4 corde.
Un delicato arpeggio di piano ci guida nella seconda ballad del disco “Invisible” dove è ancora una volta la voce di Davide a farla da padrona cambiando vari registri senza mai risultare eccessivo. Un brano carico di enfasi anche nel testo e con delle ottime armonizzazioni nei cori.
“Walking on the Wire” ribadisce ancora una volta la maestria nel songwriting della band nonché la notevole abilità tecnica di ogni suo componente. Nei pezzi più tirati come questo inoltre, è possibileR anche apprezzare la ottima produzione. Tutto suona preciso ed estremamente pulito in ogni range di frequenza.
Rispunta una leggera vena funk metal nel riff e nell’ andamento di “Heaven Is Sold Out”: altro ritornello azzeccatissimo (anche nella salita di tono), e un chitarrismo al fulmicotone a cavallo tra Bettencourt e Reb Beach.
Bellissima la chiusura affidata a “Staring Out The Window” che da un un giro di piano dall’ atmosfera molto teatrale si evolve in un pezzo che ricorda vagamente i Queen, interessantissimo e ricco di modulazioni che mostra una band in grande spolvero.
Ottimo disco, consigliassimo a tutti gli amanti del genere. Un disco che mostra una band talentosa che conosce bene tutti i segreti compositivi su come scrivere e arrangiare brani hard rock di pregevole qualità senza annoiare e tenendo sempre alto il tiro.” All In” ha quella straordinaria capacità di farti fare un salto indietro nel tempo lasciandoti, una volta terminata l’ultima traccia, con la voglia di infilarti ancora in qualche festa lungo il Sunset Boulevard degli anni ’80.
Track by Track
- Fool’s Paradise 85
- Under Your Spell 85
- End Of Time 75
- Resonate 75
- 99 Lies 75
- Neverland 80
- EmpTV 85
- 9.29 80
- Invisible 75
- Walking On The Wire 85
- Heaven Is Sold Out 85
- Staring Out The Window 90
Giudizio Confezione
- Qualità Audio: 90
- Qualità Artwork: 90
- Originalità: 80
- Tecnica: 90
Giudizio Finale
83Recensione di Frank Rastrello » pubblicata il 15.10.2025. Articolo letto 571 volte.
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