Atlas Pain «What The Oak Left» (2017)
Recensione
Gli Epic Folk metaller Atlas Pain, rilasciano il loro debut album intitolato “What the Oak Left” combinando in maniera assolutamente singolare simmetrie musicali decisamente potenti di folk, pagan unificate al metal sinfonico così realizzando uno splendido approccio dal sapore cinematografico. I brani scorrono decisamente in maniera rapida se si tiene conto dei numerosi contesti inseriti all’interno di ogni struttura delle tracce; la band non perde tempo e tra una melodia e l’altra rilascia anche cavalcate in folk death metal all’interno delle quali uno scream misto a growl detiene un singolare primato per la sua seducente connessione con il particolare quanto intrigante genere realizzato dalla band. Se qualcuno crede di trovarsi di fronte all’ascolto di un generico, quanto classico lavoro di folk metal e derivati, è praticamente fuori strada proprio perché a rendere il tutto singolare è il saper miscelare in maniera intelligente e tecnica più correnti capaci di dar vita al un ascolto emozionante e fantasioso. I dieci brani in questione, dei quali l’ultimo diviso in quattro capitoli, prendono il via con l’opener “The Time and the Muse” dove un irreale pianoforte viene invaso da una ventata di metal sinfonico pronta ad anticipare il successivo “To the Moon” nel quale sin da subito si assapora appieno la potenza sonora mista tra pagan metal e sinfonia; splendida l’interposizione dei lead solo e i refrain sprigionati dalle chitarre; ritmica death metal sinfonica è la proposta del terzo brano “Bloostained Sun” un brano veloce e dinamico allo stesso tempo all’interno del quale l’ottimo growl questa volta si esprime al massimo della sua potenza proprio per significare la potenza delle ritmiche orecchiabili già dal primo ritornello. Ottimo anche il successivo “Till the Dawn Comes” capace di presentare in apertura un momento di quiete dopo la tempesta che ben presto si riavvicina per la sua incredibile intensità ritmica per la quale risultano ottimali il lavoro dietro le pelli e l’intensità delle melodie; quanto ai successivi “The Storm” e “Ironforged” si mantengono, il primo, sulla linea d’intensità melodica del brano che lo precede mentre la seconda appare una iniziale ballata poi nuovamente divelta da un groove decisamente potente poco prima della sua metà dal quale si sprigionano le melodie in chiave folk abbellite sempre dall’ottimo cantato; si prosegue con “The Counter Dance” un brano quasi power metal misto al folk poi maggiormente irrobustito per puntate death metal; nuova proposta dai tratti più moderati metal folk con annessi ritornelli strumentali che non abbandonano facilmente l’orecchio dell’ascoltatore con il brano “Annwn’s Gate”; il successivo “From the Lighthouse” appare molto rallentato ritmicamente rispetto a quello a cui eravamo stati abituati sin ora; in ogni caso il brano si evidenzia per la sua splendida melodia; si giunge poi ai quattro capitoli in cui è suddiviso “White Overcast Line”, uno strumentale degno di un ottimo film dal sapore misto tra fiaba e fantascienza dove si alternano power, sinfonico, folk e tutto quanto questa band riesce ad inserire nel suo incredibile sound. Un disco dai contenuti ottimali da cui emerge un’ ottima capacità compositiva della band.
Track by Track
- The Time and the Muse S.V.
- To the Moon 80
- Bloostained Sun 80
- Till the Dawn Comes 80
- The Storm 75
- Ironforged 75
- The Counter Dance 80
- Annwn’s Gate 75
- From the Lighthouse 80
- White Overcast Line 80
Giudizio Confezione
- Qualità Audio: 80
- Qualità Artwork: 85
- Originalità: 90
- Tecnica: 85
Giudizio Finale
81Recensione di Wolverine » pubblicata il 18.02.2017. Articolo letto 1862 volte.
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