«Magma Pure Underground Festival II»

Data dell'Evento:
20.08.2016

 

Nome dell'Evento:
Magma Pure Underground Festival II

 

Band:
Mortuary Drape [MetalWave] Invia una email a Mortuary Drape [Link Esterno a MetalWave] Visualizza il sito ufficiale di Mortuary Drape [Link Esterno a MetalWave] Visualizza la pagina Facebook di Mortuary Drape [Link Esterno a MetalWave] Visualizza la pagina MySpace di Mortuary Drape
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Demonomancy
Mortifier
Tundra
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Luogo dell'Evento:
Villa Lydia

 

Città:
Vinchiaturo (CB)

 

Promoter:
Magma Label [Link Esterno a MetalWave] Visualizza il sito ufficiale di Magma Label .
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Autore:
Snarl»

 

Visualizzazioni:
4958

 

Live Report

[MetalWave.it] Immagini Live Report: Mortuary Drape Per tutti gli amanti del Black Metal made in Italy, l’appuntamento irrinunciabile di fine Estate è stato senz’altro dato dal Magma Label Festival a Vinchiaturo, Campobasso, dove il titolare di questa label ha di fatto convocato molti tra i migliori gruppi Italiani di questo genere, ognuno dei quali valeva la pena di essere visto, sia per il ritorno dopo tanti anni al Centro Sud di qualche gruppo, sia perché altri erano mediamente noti in questa parte d’Italia e valeva la pena rivederli, sia infine perché certi gruppi pur noti a livello nazionale comunque non avevano mai suonato da queste parti. Peccato solo per il forfait di pochi giorni prima del concerto degli Urnaa, band Piemontese già abbastanza nota in zona per via della partecipazione di un festival da queste parti alcuni anni fa.
Pertanto, l’apertura del concerto spetta agli Ad Noctem Funeriis, band pugliese che si è fatta notare tra un paio di ottimi album e la partecipazione a festival nazionali come il Metal Symposium o l’Howling at the Moon 2015, e che costituisce l’apertura sicura per questo festival vista la buona fama di questa band. Di sicuro non è compito facile suonare ad Agosto, di pomeriggio, in apertura per un festival e con un po’ di caldo (non troppo), ma gli Ad Noctem Funeriis semplicemente pestano sull’acceleratore e gli 8-9 brani proposti (di cui uno inedito da uno split imminente) si fanno notare per la bellezza degli stessi, rispondendo alle condizioni climatiche sfavorevoli semplicemente con i fatti e con un tiro che conquista gradualmente il pubblico facendolo avvicinare sempre di più sotto al palco in maniera sempre più numerosa. Ne risulta un concerto che senza troppi orpelli scenici conferma il valore del quintetto Pugliese, il cui picco credo sia stato dato dalla canzone “Satan’s March Black Metal” e con il pubblico che proprio sul brano inedito ha mostrato interesse. Se una band in apertura deve scaldare il pubblico e prepararlo per le bands successive, gli Ad Noctem Funeriis hanno svolto il loro compito alla grande, confermando i valori e l’esperienza ottenuti sui vari palchi della costa adriatica.
Voto: 75/100, ovvero un “Più che buono” che risponde alla posizione sfavorevole in scaletta con i fatti, la classe e la competenza, e che conferma le qualità di questo quintetto.

Tocca ora ai Tundra, una tra le mie bands di sempre preferite in Italia in quanto da sempre si è ostinata a proporre una propria visione molto genuina e credibile di un black metal di stampo prettamente nordico, tra le migliori che io abbia sentito dall’Italia.
Tuttavia, il concerto che ci propongono i quattro ragazzi da Ostia è meno riuscito del mirabolante concerto che hanno fatto all’Howling at the Moon 2016. I Tundra infatti si limitano all’essenziale o quasi, tagliando quasi del tutto l’approccio con il pubblico e limitandosi all’esecuzione musicale, ma i brani più minimalisti e grezzi rispetto a quelli degli Ad Noctem Funeriis risaltano di meno in questo caso, e la band si trova ben presto a suonare col pilota automatico, sfornando per questo un concerto buono a livello musicale, ma un po’ piattino per tutto il resto. Di certo la loro musica non tecnica ha bisogno più della cornice giusta per risaltare, come quella del già citato Howling at the Moon 2016, ma credo anche che la resa live di questo gruppo sia stata in questo caso appannata dal concerto del gruppo precedente. Ne risulta dunque un concerto che conferma i Tundra a livello musicale, ma che in questo caso ha svolto un concerto un po’ nella media, a cui forse è mancata la giusta cornice musicale. Voto: 65/100.

Si fa progressivamente buio mentre suonano i Pugliesi Mortifier, veterani e recentemente tornati in attività discografica, e dico sin da subito che qui il livello di resa da live si alza parecchio, con circa 8 brani che ti prendono e ti inchiodano là dove ti trovi. Ai Mortifier non serve chissà quale preambolo per funzionare da live: semplicemente gli basta prendere i brani che hanno e sbatterli in faccia, con l’unica cornice scenografica data da un cantante e un bassista dalla presenza scenica minimale ma che funziona, e con un chitarrista che tra denti digrignati e un po’ più di movimenti riesce a dare quel piccolo tocco in più di dinamicità che fa esaltare il gruppo da live. Ed è proprio lo stile dei brani a colpire e a far risaltare i Mortifier, che suonano tutti violenti e molto grezzi, ma anche tutti saldamente ancorati agli stilemi compositivi di tanti anni fa e ancora oggi freschi e più che mai convincenti. Il concerto dei Mortifier è stato semplicemente questo: una grande scorribanda tramite dei brani eccellenti e che pur essendo old school fino al midollo non suonano per niente stantii o desueti. Già questo non è poco da studio, figuriamoci a riproporre questa attitudine anche da live, dove il casino, la ruggine accumulata negli anni e tanti piccoli dettagli (tra cui il batterista nuovo) possono andare storti e compromettere tutto. Non è stato così per questi ragazzi, che invece hanno tirato dritto dall’inizio alla fine conquistando sempre di più il pubblico, con tanto di standing ovation finale e il bassista che lancia dal palco il suo basso (tranquilli, non si è danneggiato e non ha colpito nessuno), a sigillare un concerto gustosissimo.
Voto: 80/100, ovvero “Ottimo”. Il concerto dei Mortifier è paragonabile a un motore Chevy Big Block V8: sì, ci sono motori più complicati, più veloci, più tecnici, più moderni e più potenti, ma la soddisfazione sta tutta nel suono che fa e ciò che ti comunica quando lo ascolti, e questo punto di forza è così grande che sopperisce a tutto il resto. I Mortifier funzionano esattamente allo stesso modo.

E se la sberla dei Mortifier non fosse abbastanza, i successivi Demonomancy da Roma fanno anche meglio. Incredibile ma vero.
Ci capita da un paio d’anni, qui a Metalwave, di imbatterci in delle bands che non suonano originali in realtà, ma la cui convinzione e la precisione nei dettagli nel riproporre un certo tipo di musica rende queste bands vincenti e credibili come gli originali: il successo dei Demonomancy e la riuscita del loro concerto al Magma Label Festival secondo me sono dovuti proprio a questo.
In tutta sincerità, era facile aspettarcisi tanto dai Demonomancy perché pur essendo attivi da relativamente poco tempo hanno già un curriculum invidiabile, come la prestigiosa label e una serie di concerti in Europa e non solo. E le consegne sono state rispettate, con circa 9 brani scarni eppure molto violenti, composti da un miscuglio di death, black e doom riservato agli amanti del metal più grezzo e spietato, ma che in questa occasione sono riusciti nel notevole target di fare nuovi fans e nuove vittime, obiettivo non facile quando proponi musica così poco easy listening e tradizionalista. Il concerto è andato avanti così, con una sapiente illuminazione che puntava sul rosso facendo davvero sembrare di essere arrivati all’inferno, e con una inamovibile convinzione di questo trio, che tra riff e riff ha inanellato sempre più consensi tra la folla sotto il palco, ormai da tempo più che numerosa.
Voto: 85/100, ovvero un “Più che ottimo, quasi eccellente” che rappresenta un concerto che qualcuno (non io) ha indicato come il migliore dell’evento, e che conferma i Demonomancy come una tra le migliori realtà nazionali. D’altronde con tali credenziali e così tanti concerti fatti vuol dire che questo gruppo piace, e pertanto o si matura esperienza velocemente o si finisce bolliti dopo poco; e con piacere constatiamo che i Demonomancy non appartengono alla seconda categoria.

Tocca ora ai rinomati Handful of Hate. Una band che è attiva da sempre, che si trova facilmente a suonare in giro e la cui musica è nota, e questo sicuramente per il successo, ma anche per una promozione capillare e una attività live estenuante. Pertanto, chissà, magari in mezzo a tante sorprese, forse questa band poteva suonare un po’ prevedibile e il concerto sarebbe stato un po’… ehm, già visto? Con mia soddisfazione, la risposta è: “Prevedibile” e “già visto” un corno!
Con una verve rinnovata e con una forza che li fa risaltare meglio ai festival che nei locali chiusi, il concerto degli Handful of Hate rappresenta il tipico caso di band nota e già vista, ma che per tecnica, classe e credibilità comunque non smette di prenderti a vangate in faccia per via di una scaletta collaudata ed efficiente, che propone l’arcinota “I Hate!”, la ben riascoltata “Beating Violence”, il lento potentissimo di “Boldly Erected” e la pluriacclamata “Livid”, che costituisce anche il picco del concerto a causa del fatto che il pubblico letteralmente esplode all’annuncio di questo brano, più volte richiesto per tutto il concerto, fatto di 13 brani circa più bis (“Cursed be Your Breast”). Poi certo: a tratti si sentivano sbalzi di volume, altre limitate volte l’esecuzione sembrava un po’ caotica, ma non interessa a nessuno: il pubblico voleva violenza sonora, e violenza sonora ha ricevuto.
Sarebbe stato facile per gli Handful of Hate adagiarsi sugli allori e fare un concerto appena discreto, tanto il nome già ce l’hanno e con buona pace dei fans che dopo le mazzate ricevute da Mortifier e Demonomancy avrebbero voluto di più. Per niente: gli Handful of Hate continuano imperterriti a battere chiodo e a confermarsi come una tra le migliori bands Black Metal di stampo Svedese in Europa, e certamente la migliore in Italia di questo sottogenere Black Metal, nonché una band di andare in pensione proprio non ne vuole sapere.
Voto: 83/100. “Più che ottimo”. È facile essere sminuiti quando si suona dopo una band rivelazione della serata, è facilissimo esserlo dopo due band rivelazione della serata, ma gli Handful of Hate non ci cascano e continuano il filotto di bands che devastano il palco e che distruggono tutto, frutto di una band che di andare in pensione proprio non ne vuole sapere, per il semplice fatto che va avanti indisturbata senza nessunissimo problema. Una band esemplare per personalità musicale acquisita col tempo, e con una classe semplicemente incorruttibile che insegna a giovani e vecchi come tenere il palco. Di certo il termine “veterani” o “antichi” proprio non si confà a questa band, che ha decisamente l’entusiasmo da ragazzini!

E ora tocca ai Padovani Death Dies, band storica ma nuova (almeno credo) a suonare da queste parti.
Diciamo sin da subito che il mio giudizio sul concerto dei Death Dies è quanto mai soggettivo per via della scaletta proposta, che non propone solo i brani migliori dei Death Dies, ma più o meno la stessa scaletta dell’antologia “Legione”, il che vuol dire che solo alcuni brani sono dei Death Dies, mentre altri (con l’aggiunta di un altro chitarrista e di una tastierista) sono degli Evol, e verso la fine ho riconosciuto un brano dei Satanel (Non so se ne siano stati fatti anche altri). Cosa c’è di sbagliato in questo? Nulla, soltanto che personalmente avrei apprezzato una scaletta di questo tipo in un concerto dove loro fossero gli headliner e opportunamente dedicato ad una loro retrospettiva, ma in un concerto come questo fatto da alcuni pesi massimi del Black Metal in scaletta, avrei preferito una scaletta del tutto incentrata sui loro brani e non suonare alcuni brani degli Evol, che ho sempre reputato inferiori ai Death Dies in quanto più acerbi e quindi meno competitivi.
Forse per la minore violenza dei brani e la loro maggiore atmosfera, o forse per la scomoda posizione da co-headliner tra Handful of Hate e i Mortuary Drape la cui attesa era già palpabile, il pubblico (a seguito di qualche domanda tra i presenti) divide un po’ le proprie opinioni, dove c’è chi comunque apprezza la scelta della scaletta retrospettiva e che pesca anche dai loro altri progetti, e chi avrebbe continuato a volere vangate in faccia, sdegnando un po’ i brani più lenti e atmosferici di metà concerto. Opinioni che ovviamente non minano affatto l’importanza dei Death Dies, ma che rendono di fatto il giudizio di questo particolare concerto molto soggettivo e con il pubblico che ricade completamente in una delle due categorie suddette. Personalmente io sono uno di quelli che avrebbe preferito una scaletta solo Death Dies-style e più violenta.
Voto: 65/100, ovvero “Non male”, ma mi aspettavo altro per i motivi suddetti. Se poi c’è (e a quanto pare c’era) gente che il concerto l’ha apprezzato così com’è, che aggiunga 10 punti al voto finale, e anzi meglio così, ma io resto della mia opinione. Da risentire con una scaletta più da massacro sonoro.

Concludono la serata con molta attesa del pubblico i famosissimi Mortuary Drape, una band famosa e meritatamente storica per lo stile musicale unico, che costituisce a mio avviso uno dei validi esempi di trasformazione nei tardi anni 80-primi anni 90 dal thrash al black metal come lo intendiamo oggi. Spesse volte infatti i brani non sono neanche propriamente black metal e anzi contengono pure dei ritornelli (che il pubblico ha cantato per tutto il tempo), ma è il feeling delle composizioni ad essere diverso e a differenziarli dal thrash, con una malignità di fondo melodica o meno che rende brani come “Primordial” o “Vengeance from Beyond” diversi da quanto fatto dai Venom o dai Bathory, ad esempio. Il tutto rende questo stile musicale molto raro e ormai praticamente desueto, ma che i Mortuary Drape continuano a proporre in maniera eccellente. Sicuramente tanti gruppi, nordeuropei e non, hanno contribuito alla nascita del genere Black Metal, ma tra questi ci sono innegabilmente anche i Mortuary Drape, italiani e validi rappresentatori di questa evoluzione musicale.
E per fortuna il concerto dei MD non è qualcosa tutto nostalgia e niente sostanza, ma un valido esempio di band che queste coordinate musicali continua a riproporlo con ostinazione e convinzione, con dei suoni praticamente perfetti specialmente per il basso, e con dei musicisti davvero molto bravi a sostenere le litanie della band di Wilderness Perversion. La scaletta, poi, pesca gran parte dei brani storici della band, tra cui le due già citate, “Ectoplasm”, “Pentagram”, “Necromancer” e “Abbot” riproposta nei bis, tra le altre. Peccato solo per la mancanza di brani come “Evil Dead” o l’ossessionante “Into the Catacomba”, ma va bene anche così, e poi comunque la scaletta è comunque giusta per generare sin da subito consensi dal pubblico, che lascia da parte la brutalità dei gruppi precedenti per lasciarsi affascinare dalle cavalcate speed/thrash/black del gruppo. Roba che più che un festival Black Metal sembrava di stare ad un concerto Heavy Metal, con tanto di moshpit continuo e pure un po’ violento e stagediving. Tutto molto bello finché purtroppo a un tizio del pubblico troppo esagitato non è venuta la pessima idea di alterare il cantante dei Mortuary Drape per averlo infastidito a stare sempre sul palco (e si mormorava che voleva rubare il drappo sopra il leggio, ma non so se sia vero) durante “Dreadful Discovery”. Questo è stato sufficiente per fare arrabbiare il cantante, il quale prima ha invitato il tipo sul palco durante la canzone a regolare i conti di persona, ma che dopo la canzone, da vero signore, ha detto che sarebbero andati avanti per tutti quelli che volevano sentire il gruppo, alla faccia di quel disturbatore. Non ci sono stati difetti per un concerto che è filato liscio come l’olio senza una sola sbavatura tecnica, nonché anche spettacolare da vedere con il bassista altrettanto padrone della scena.
Voto: 90/100, ovvero “Eccellente”. Certo, sarà anche un giudizio personale, ma durante quel concerto mi sono detto che se vuoi fare Black Metal, questo è uno di quei gruppi fondamentali da conoscere, per tutta una serie di motivi che non credo sia opportuno elencare. La storia del Black Metal italiano ruggisce alla grande ed è ben lungi dall’essere terminata. The Past is still alive.

Terminato il concerto, occorre spendere due parole per l’ottima organizzazione dello staff di Magma Label, che dall’anno scorso a questo ha fatto un salto di livello verticale, andando a segnarsi tra i migliori eventi dell’anno in ambito Black Metal e organizzando il concerto in maniera impeccabile, senza cadute di tono, e con un ampissimo spazio per il merchandising di tutte le bands, nonché un prezzo della birra più che onesto (Sembrerà una sottigliezza, ma dopo aver visto la 0,3 di birra sciacqua a 5€...). Non possiamo fare altro che dare una (virtuale) stretta di mano ai ragazzi che hanno reso possibile tutto questo, che ci hanno proposto 7 bands o classiche o ben avviate e con un tangibile curriculum, senza bands fillers e in pieno spirito underground, per una giornata all’insegna della musica da ricordare, e che conferma come questo 2016 almeno qualcosa di buono l’ha portato, ovvero lo svolgimento di tanti concerti black metal in Italia che permettono a tante bands di suonare e di farsi notare, nonché di proporre dei nomi headliner da sempre interessanti per la gente e troppo spesso snobbate dagli organizzatori di concerti che, promuovendo i soliti 4 nomi in croce, evidentemente si rivelano conoscitori molto superficiali dell’underground.
Per via del successo di qualche band a livello nazionale nel Black Metal, nonché nel deciso aumento di bands Black Metal che fanno concerti sparse in Italia, la tendenza sta decisamente cambiando e ci sono più bands, più releases, più collaborazioni e più festival Black Metal dove suonare, il prossimo dei quali si svolgerà ad Arezzo tra il 22 e il 23 Settembre. A livello di distribuzione musicale il metal italiano resta poco diffuso e deficitario, ma almeno ora un certo movimento a livello di serate si è creato. Tocca a noi musicisti sfruttare questo momento, a noi webzinari promuoverlo, e a voi pubblico donargli una audience decente.

In breve sui gruppi:
Mortuary Drape: 90/100. Un classico e parte delle fondamenta del black metal italiano che non perde un solo colpo. 30 anni di attività e non sentirli.
Demonomancy: 85/100. Nuovi rampanti che suonano ciò che pochi fanno in Italia, e che spingono i limiti del black metal italiano sia da studio che da live. Meritocrazia.
Handful of Hate: 82/100. Vicinissimi ai Demonomancy, della serie: avere tanti anni di esperienza e non considerarsi per niente dei veterani arrivati.
Mortifier: 80/100. Un ottimo esempio di come lo stile classico di alta qualità non sia mai stantio o antiquato.
Ad Noctem Funeriis: 75/100. Punta sulla qualità dei brani e sulla convinzione, e nessun ruolo da opener o clima avverso potrà danneggiarti.
Death Dies: 65/100. Tutto bene, ma la tracklist del concerto non l’ho apprezzata granché.
Tundra: 65/100. Il grezzo minimalismo dei brani risalta molto più di notte o in alta collina o in un concerto chiuso che in un pomeriggio di Agosto...

 

Immagini della Serata

 

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